Incroci sentimentali: quel che accade se arriva Godot.

Esce oggi il nuovo film di Claire Denis, Avec amour et acharnement, tradotto in italiano con Incroci sentimentali. 116 minuti di puro romanticismo drammatico (a partire dalla musica) in cui Juliette Binoche, Vincent Lindon e Grégoire Colin formano il più classico dei triangoli amorosi: quello che rimane aperto.

Nel ménage quotidiano di una coppia molto affiatata interviene un corpo estraneo (ma, in fondo, non così estraneo): l’ex compagno di Sara, François, nonché socio in affari di Jean, per cui la protagonista ha chiuso la precedente relazione.

L’estetica documentaria connota la narrazione: lunghe inquadrature indugiano su dettagli domestici, volti e corpi dei protagonisti, non più giovani ma comunque estremamente passionali. Spesso la telecamera è posizionata dietro i vetri della metro o sul parabrezza delle automobili, restituendoci una sensazione di verità e contribuendo a fondere il nostro punto di vista con quello dei personaggi.

Alla verosimiglianza degli scorci cittadini non ne corrisponde una dialogica: gli scambi sono ripetitivi, modulari; i gesti e le scene si ripropongono continuamente, come negli atti di un dramma beckettiano. Un’escamotage narrativo e visivo che abitua rapidamente lo spettatore alla vita della coppia, lo fa entrare con semplicità e naturalezza in angoli anche molto privati di quell’amore: i momenti a letto, al telefono o quelli in cui lei gli chiude dietro la porta di casa… è tutto pacifico, tutto dolcemente monotono. Finché non ritorna François.

Accade in modo graduale ed estremamente realistico: dapprima, l’ex è solo un nome che fa capolino nelle serate della coppia, un po’ di sfuggita, perché Jean ha ricevuto da lui la proposta di riprendere la vecchia collaborazione. La suspense, il mistero del perché e in che termini François voglia Jean a lavorare con lui si insinuano nella mente della donna e del pubblico, alimentati dall’evasività di Jean: lo vediamo spesso al telefono, di spalle, che abbassa la voce quando Sara torna a casa dal lavoro ed evita di rispondere alle domande di lei. Queste conversazioni sospette angosciano Sara e sono l’occasione per chiarire vari retroscena e scatenare flashback taciuti allo spettatore, ma evidenti negli occhi della donna. François diventa un argomento ricorrente: Jean lo nomina talmente tante volte da risvegliare i ricordi della compagna, scatenando anche una strana nostalgia mista a paura e diffidenza. Lei stessa dichiara: “ho amato moltissimo François, lo sai. Ma la mia storia con lui è finita”: una dichiarazione d’intenti o la volontà di mettere le mani avanti? Come Aspettando Godot, la vicenda è regolata da due forze inversamente proporzionali: l’aspettativa su questo misterioso personaggio, di cui per ora non conosciamo nemmeno il volto, e la sempre più scarsa dose di vera comunicazione tra Sara e Jean, ormai ossessionati da François. L’agitazione della protagonista e la tensione che essa crea nella coppia tengono lo spettatore incollato allo schermo: “non accade niente”, ma comincia a succedere tutto, almeno nella testa di Sara.

Poi François si rivela; per lunghissimi minuti del film non proferisce verbo. Un fantasma fatto carne onnipresente nelle conversazioni, negli spazi, negli eventi… nella vita di coppia. Paura e attrazione di Sara per questo noto/ignoto raggiungono l’apice del climax quando la donna, tormentata dalla curiosità e dalle reminiscenze, si presenta all’inaugurazione dei nuovi uffici di Jean e François.

Da qui comincia la terza parte del film, dopo una idilliaca e una angosciante: tale ripartizione rende prevedibile la sorte inevitabilmente tragica degli amori raccontati.

Permane il medesimo romanticismo riscontrato nelle prime due sezioni del film: i fili della vecchia relazione vengono riallacciati con entusiasmo da François, con timore e trasporto da Sara. La regista non teme di utilizzare musica romanticissima, ralenti sugli sguardi che corrono tra i due, primissimi piani su mani e occhi… dimostrando che ogni relazione può essere vissuta col coinvolgimento del primo amore. Quella tra i due ex (e rinnovati) amanti si nutre della voglia di recuperare il tempo perso, della clandestinità, dei “voglio essere pronta” di Sara; quella tra lei e Jean, invece, diventa luogo di rassicurazioni tanto vuote quanto ripetute, uno spazio condiviso da due vite che sono ora rette parallele anziché linee intrecciate. L’intensità struggente con cui Sara ripete all’infinito “mon amour” nell’orecchio di Jean, piangendo, mentre fanno l’amore, dà la cifra precisa di quanto lei voglia tenere stretta a sé la vita con il partner… senza però rinunciare a François, che ama ancora. Questo porta a un duello tra spasimanti in piena regola, che ci viene taciuto magistralmente: non vediamo i due uomini fronteggiarsi, ma la distruzione che questo causa in Sara. Il suo viso preoccupato, arrabbiato e impotente racconta la conseguenza della sua non-scelta: rimanere sola. 

Chicca finale di questa pellicola romantica è l’inserimento di un correlativo oggettivo joyciano: l’ultima volta che vediamo la protagonista, sta provando a recuperare i dati dal cellulare che le è caduto nell’acqua calda. Il responso è (per l’appunto) tragico: il tuffo ha cancellato tutti i numeri, non ci sono più contatti registrati su quel telefono che, come ben sappiamo, è più di una scatola nera… contiene la nostra stessa vita.

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