(from left) Burt Fabelman (Paul Dano), younger Sammy Fabelman (Mateo Zoryan Francis-DeFord) and Mitzi Fabelman (Michelle Williams) in The Fabelmans, co-written and directed by Steven Spielberg.

The Fabelmans: la nascita di un genio

La coda per entrare in sala a vedere The Greatest Show on Earth di Cecil B. DeMille è lunga. Tra le persone che aspettano di entrare ci sono i Fabelmans.

Il piccolo Sammy (Mateo Zoryon Francis-DeFord), che non è mai stato al cinema prima d’ora, è terrorizzato. La camera si abbassa alla sua altezza dando allo spettatore la possibilità di entrare nei panni di un bambino che sta per scoprire il cinema e condividere con lui una paura e un brivido che, ancora oggi, proviamo prima di sederci sulla poltroncina e goderci lo spettacolo. Sammy viene subito rassicurato dai suoi genitori, in una sequenza che getta le premesse per questa storia familiare che fa dei personaggi la propria forza motrice. Esce oggi The Fablemans, attesissima autobiografia di Steven Spielberg che ha molto da dirci sul ruolo che l’arte gioca nelle nostre vite, anche a nostre spese.

Meet The Fabelmans.

Burt (Paul Dano), il padre di Sammy, è un ingegnere, uomo pragmatico e pacato, marito di Mitzi (Michelle Williams) matriarca della famiglia Fabelmans che ha rinunciato alla sua vocazione da performer e alla sua promettente carriera da pianista per dedicarsi ai figli. I personaggi, soprattutto Mitzi, sono il cuore di The Fabelmans, semi-autobiografia scritta a quattro mani da Steven Spielberg e Tony Kushner (che ha affiancato il regista anche nel recente adattamento di West Side Story), che ha un sapore nostalgico e una cura ai dettagli tale da catturarci dall’inizio alla fine nella storia di una famiglia che cade gradualmente a pezzi. 

Il piccolo Sammy, seduto al cinema tra i due genitori, viene quasi risucchiato dalla storia che si spiega sul grande schermo. La scena dell’incidente ferroviario colpisce il giovane spettatore, lo tormenta. Mitzi aiuta il figlio ad ascoltare il bisogno di rivivere in un ambiente sicuro lo scontro visto sul grande schermo, dandogli la possibilità di controllare questo evento che lo ha sconvolto. Quando Sammy mostra alla madre il film in cui ricrea la scena vista al cinema con il solo aiuto del modellino di un treno e della macchina da ripresa di famiglia, sappiamo di assistere alla nascita di un genio. Questa rivelazione avviene, dapprima, in gran segreto, all’interno dell’armadio nella stanzetta di Sammy, abbastanza scura da poter diventare un piccolo cinema per due. Presto, il segreto viene alla scoperta: Sammy non riesce a staccarsi dalla macchina da presa e la sua passione diventerà poi un pretesto di scontro con Burt che vede il nascente amore del figlio per il cinema come un semplice hobby.

L’arte ti strapperà via il cuore.

La rottura definitiva tra vita e arte si manifesta dopo la morte della madre di Mitzi, nell’apparizione di uno zio misterioso che ha abbandonato la famiglia per lavorare al circo. Un artista, proprio come Sammy. Lo zio Boris (Judd Hirsch) mette in guardia il ragazzo sul peso che l’arte e il bisogno di raccontare avrà sulla sua vita. È da questo momento che capiamo il ruolo del cinema all’interno del film: la ripresa e il montaggio di film non sembrano creare problemi a Sammy, anzi, ogni ostacolo viene superato dal regista in erba con strabiliante naturalezza. Il vero conflitto non sta nel miglioramento e nel processo creativo, ma nell’equilibrio tra arte e famiglia, soprattutto quando è proprio il cinema ad essere rivelatrice delle crepe nell’idillio familiare. 

La maggior parte del film vede come protagonista un Sam Fabelman adolescente (Grabriel LaBelle) alle prese con la creazione di film che si rifanno ai grandi blockbuster western o di guerra e che hanno come protagonisti gli amici scout o le sorelle; vediamo Sam perfezionare gradualmente la sua arte e guadagnare sempre più fiducia nelle sue doti registiche. Spielberg ci fa vivere con estremo dettaglio i processi di taglio e montaggio delle pellicole che Sam mette in atto nel suo piccolo studio, ci fa gioire con il padre Burt quando il nostro protagonista spiega un intelligente escamotage usato per donare un effetto realistico agli spari nel film. Ben presto, Sammy capisce il vero potere manipolatorio del cinema in un nuovo contesto scolastico ostile; così, riemerge ancora una volta la spaccatura tra il mondo delimitato e controllabile, dei film e quello reale.

Questioni di famiglia.

The Fabelmans è una lettera d’amore al passato, sì, ma che parla anche in modo sottile e fa del foreshadowing uno dei suoi punti di forza. Sono commenti come quello della nonna Haddash (Jeannie Berlin) alla piccola Fableman di non chiamare Bennie (Seth Rogen) “zio” perché è, in effetti, solo un amico di famiglia. Il personaggio di Benny è, quasi silenziosamente, sempre in secondo piano, il segnale di ciò che porterà alla rottura della famiglia Fableman. In questa autobiografia, Spielberg approfondisce l’aspetto personale di uno dei trope più presenti nella sua cinematografia, quello della famiglia spezzata, spesso dovuta a figure genitoriali imperfette o assenti. Il divorzio dei genitori ha lasciato un’impronta indelebile nella produzione cinematografica di Spielberg e trova in The Fabelmans massima espressione nell’eterna collisione tra cuore e mente, tra Burt e Mitzi, tra Sammy, innamorato del cinema, e la vita fuori dalla pellicola, quella in cui non è possibile tagliare le parti scomode. 

Ciononostante, Spielberg è maestro nel raccontarci le parti scomode di una storia presentando  squarci di vita che rispondono più alle regole del cinema che a quelle della realtà. Anche i momenti più tesi, principalmente legati a Mitzi e alla crisi che attraversa la sua figura di madre e moglie, sono grandiosi, poetici. Una madre che guida con i figli verso un tornado; una danza incantatrice di notte, in una foresta, come grido di aiuto ed esasperazione. 

Le regole del cinema. 

Alla fine, la vita secondo Spielberg risponde sempre alle regole del cinema, e ce lo mostra proprio alla fine, ammiccando a noi spettatori e strappandoc un sorriso. The Fabelmans non è una semplice sequenza di diapositive della storia di una famiglia: è un susseguirsi di scontri tra verità ugualmente valide, è l’esplorazione del mondo di un ragazzo attraverso la videocamera, è l’apoteosi della manipolazione narrativa e, forse, una delle dichiarazioni d’amore al cinema più genuine degli ultimi tempi. 

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Previous Story

Il cavallo scosso dell’IA

Next Story

5 podcast anglofoni da non perdere

Latest from Film & Serie TV