Top 5 serie tv del 2022

La sesta stagione Better Call Saul è senza dubbio una delle migliori serie pubblicate nel 2022. Vince Gilligan e Peter Gould, i due co-ideatori della serie, devono esser fieri del lavoro svolto visto il risultato: una serie intelligente, che nonostante gli ambienti corrotti e violenti che ritrae riesce a strappare sorrisi e risate.

Dev’essere stato un momento complesso per la coppia di produttori quando hanno iniziato a progettare a un possibile spin-off di Breaking Bad, una serie che nonostante avesse zoppicato inizialmente è diventata un culto per molti appassionati. Tuttavia pochissimi mettono in dubbio il fatto che la serie sia la migliore della trilogia di prodotti dell’universo con protagonisti Walter White (Bryan Cranston, per Breaking Bad), Jesse Pinkman (Aaron Paul, protagonista ne El Camino) e Saul Goodman (Bob Odenkirk, ovviamente protagonista di Better Call Saul). La qualità delle storie è importante, il racconto di diversi individui che si trasformano lentamente in uomini dalla moralità ambigua che ambiscono a diventare persone migliori ma non trovano un equilibrio tra loro e il mondo marcio che li circonda.Saul, in particolare, è un avvocato che lentamente ricade ad essere una figura metaforica che prende in giro sé stessa oltre che il sistema di giustizia americano.

La vita di un avvocato criminale, raccontata in una serie ricca di dettagli e abili attori (Michael Mando, Giancarlo Esposito, Jonathan Banks, Michael McKean e molti altri) a condire il tutto, Better Call Saul ha trovato un modo di raccontare la vita dei suoi personaggi unico ed è riuscita a formulare un finale coerente per il tutto.

Gudetama è una serie TV giapponese che fa leva sulla forte cultura culinaria del paese, mischiata alla grazia delle animazioni tipiche dello stesso Paese orientale.

Questi due elementi, amalgamati dalla curiosità di vedere una serie TV con un uovo sonnolento come protagonista, rendono la serie molto piacevole da guardare. È una serie animata in 3D curatissima nello sviluppo della parte visiva, che accompagna Gudetama (dall’unione delle parole “gude gude” e “tamago”, che significano rispettivamente “pigro” e “uovo”) e Shakipiyo, un pulcino pieno di energie, nella missione di trovare la loro mamma. Con sottotoni anticapitalisti e nichilisti uniti allo stile kimo-kawaii (rozzo e tenero allo stesso momento) giapponese, la breve serie si rivela interessante, anche se prevedibile nella trama, per come racconta due facce di una società molto lontana dalla nostra, in cui la competitività professionale porta a lavorare alacremente tanto da causare burnout frequenti. Per iniziare a guardare il mondo e soprattutto le nostre uova a colazione con una prospettiva diversa, questa serie è sicuramente un buon antipasto. Complimenti alla casa di produzione, OLM, che dopo essere riuscita a produrre serie più improntate sull’azione come quella dei Pokemon, ha mostrato grande versatilità ed enorme cura rispetto ai dettagli.

Oggi possiamo immaginare la cucina di un ristorante, anche grazie a film e programmi televisivi, in modo sempre più realistico. Un elemento caratteristico di ambienti di quel tipo sono certamente le urla, che di certo non mancano in The Bear. L’ammaliante serie, prodotta da FXP, è stata ideata e diretta da Christopher Storer, presenta otto episodi da circa 30 minuti ciascuno e ha già vinto un AFI Award.Il racconto drammatico ruota intorno alla storia di un giovane chef di talento, Carmen “Carmy” Berzatto (Jeremy Allen White) che torna a Chicago inizialmente per mantenere in vita il Beef, ristorante di famiglia specializzato nella preparazione di manzo italiano. Il fratello di Carmen si è suicidato, il che obbliga il ragazzo ad abbandonare all’improvviso una carriera che avanzava tra ristoranti di lusso per fare ritorno nella sua città natale e doversi confrontare nuovamente con i Chicagoans, obbligandolo a tirare fuori grinta e determinazione per cercare di salvare l’attività di famiglia. Per chi ha lavorato nel mondo della cucina, la serie offre dei dettagli che balenano (non sempre piacevolmente) e ricordano realmente situazioni che si incontrano lavorando dietro le quinte di un ristorante. Per chi è attento ai dettagli mentre guarda serie o film, il racconto offre ottimi movimenti di camera, una colonna sonora piena di vita e pochi momenti senza significato o funzionalità narrativa. Una divertente, drammatica storia di amicizia, mischiata a una serie culinaria, merita certamente almeno un assaggio.

This is going to hurt è il titolo della serie che vede Ben Whinshaw protagonista, nel ruolo di un infermiere sfruttato che deve sostenere ritmi di lavoro folli nel reparto di ginecologia di un ospedale dell’NHS. La regia di Lucy Forbes e Tom Kingsley segue le tracce del libro, convertito dallo stesso autore Adam Kay a copione. Il libro si ispira a una serie di racconti appuntati da Adam sul suo diario risalente agli anni in cui studiò medicina e ginecologia. L’evoluzione del racconto nella serie segue Adam Kay (questa volta l’attore, Ben Whinshaw) nel reparto di ostetrica e ginecologia, accompagnato dalla sprovveduta Shruti Acharya (Ambika Mod), anche lei un’infermiera. Il tentativo ambizioso di farci entrare nei panni dei lavoratori dell’NHS riesce anche grazie a una serie di battute tipicamente inglesi, che rispecchiano le anime di persone esaurite da un lavoro che le svuota dalle energie, oltre che sottopagarle. La realtà che appare sullo schermo è senza filtri, e sembra ancor più vera e autentica anche perché aiutata da una scelta importante di regia: i due infermieri protagonisti spesso rompono il quarto muro, guardando negli occhi e parlando in modo diretto allo spettatore. La scrittura della serie in tutti i suoi aspetti sicuramente è un ulteriore punto di forza, in quanto aiuta a sottolineare la genuinità della storia vissuta da Adam e interpretata egregiamente da Ben Whinshaw.

Se Ben Stiller è conosciuto da molti per il ruolo che ha come attore in Zoolander o Una notte al museo, bisogna certamente attribuirgli del merito per la sua abilità da regista, dimostrata nella direzione di Severance. Insieme ad Aoife McArdle e grazie all’idea di Dan Erickson, Stiller ha svolto un lavoro egregio in ogni puntata di una serie che riprende a temi sci-fi e distopie futuristiche che sembrano quasi, allo stesso tempo, stranamente vintage. La trama vede Mark S. (Adam Scott), un impiegato che ha acconsentito di partecipare al programma Severance, che permette di separare la sua mente “lavorativa” da quella esterna. In pratica, un cervello diviso in due che entra in una “modalità lavoro” completamente ignara della sua altra metà, esistente fuori dai muri dell’ufficio.
Una storia originale, che non ha bisogno di complessità e fronzoli stilistici in post-produzione per funzionare e risultare accattivante, Severance sfrutta un misto di ottima scrittura, regia e recitazione: tre fondamentali che, a volte dimenticati, alla fine sono tutto ciò che serve per far stare in piedi un buon racconto.

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