In Cronache dal Metaverso analizziamo cosa serve per rifondare l’educazione, stando al passo con la tecnologia.
Nell’episodio del podcast Cronache dal Metaverso: l’educazione nel Metaverso, Fabrizio Venerandi, insegnante di italiano e storia all’Istituto Tecnico Superiore Statale Majorana-Giorgi di Genova ed esperto di letteratura elettronica, e Filippo Lubrano, esperto di intelligenza artificiale, Metaverso e Web3, hanno analizzato la struttura del sistema scolastico italiano e hanno provato a immaginarsi come lo sviluppo delle nuove tecnologie potrebbe condizionare la sua evoluzione.
Lo spazio virtuale che compone il Metaverso può essere sfruttato in diversi modi; come la gran parte delle nuove piattaforme, è un luogo che permette di condensare conoscenze, oggetti e relazioni con una nuova interfaccia, evolvendo il modo in cui fruiamo dei contenuti al suo interno. Uno degli ostacoli maggiori rispetto a queste potrebbe avere radici culturali, anche osservando come il mondo dell’innovazione e quello scolastico si sono parlati poco, da un secolo a questa parte.
Certamente l’obbligo di stare a stretto contatto con la tecnologia che ognuno di noi ha vissuto durante la pandemia, con l’introduzione di smart working e DAD, ha aiutato a spargere la consapevolezza dell’esistenza del Metaverso. Però, purtroppo, la struttura della didattica non è stata cambiata rispetto alle lezioni frontali pensate dal MIUR.
Infatti se come dice Marshall McLuhan “Il medium è il messaggio”, allora la struttura della didattica digitale si sarebbe dovuta modificare, con strumenti differenti, tempi asincroni e lezioni non frontali rispetto al professore che sta a casa.
Alcuni esperimenti fatti da Venerandi in questa direzione hanno incluso la scrittura collettiva di una trama, la trasformazione di eventi storici in testi di letteratura elettronica, la creazione di videogiochi e la riscrittura delle regole di Risiko.
Questi hanno come presupposto la curiosità innata dei ragazzi, che a prescindere sperimenterebbero strumenti come ChatGPT al di fuori del contesto scolastico e, in quanto nativi digitali, spesso acquisirebbero maggiore dimestichezza con gli stessi rispetto ai professori.
In questo modo anche gli insegnanti potrebbero apprendere dagli studenti, seguendo il concetto di “flipped classroom”, o classe capovolta: una struttura che sovverte il modello educativo, dove la lezione frontale in classe fa passare verticalmente le conoscenze dal professore agli studenti che devono verificare quanto hanno capito con i compiti svolti a casa. L’assunto alla base della classe capovolta è che non ci sia differenza nel seguire una lezione individualmente o collettivamente, quindi mettendo a disposizione materiale fruibile da casa permette agli studenti di familiarizzare con un argomento prima di arrivare in classe, dove si svolgeranno esercizi interattivi e confronti tra pari in modo da consolidare la conoscenza dei temi studiati.
Tutti questi tentativi sono comprensibili, osservando i sistemi scolastici in cui i ragazzi che studiano sfruttando in maniera costruttiva i mezzi tecnologici con cui si trovano a loro agio sono in grado di memorizzare in maniera più efficace i contenuti.
Tuttavia, in Italia rimane imponente un problema di fondo del sistema scolastico ideato diversi decenni fa: è troppo subordinato alla valutazione. Guardando non troppo lontani, almeno dal punto di vista geografico, ci sono esempi di scuole in cui i voti delle verifiche intermedie non fanno media, ma sono funzionali per capire a che livello sono stati compresi gli argomenti studiati, in ottica di un grande esame finale specifico per ogni corso.
Per rivoluzionare l’utilizzo della tecnologia nel sistema scolastico, è inevitabile che lo stesso dovrà essere rifondato in maniera più radicale e, considerando i tempi lenti con cui si muove la scuola italiana, potrebbe essere necessaria una rivoluzione culturale che prescinda dalla stessa per far diventare visori, algoritmi e Metaverso parte integrante dell’istruzione del futuro.